Crocifisso della Provvidenza - Unità di Pastorale Sinodale

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BASILICA DI COLLESANO | INGEGNO E RICCHEZZA D'INTAGLIO A DIR POCO ECCEZIONALE
Crocifisso della Provvidenza
Pochi anni dopo la consacrazione del 1548, la nuova chiesa madre si arricchisce di quella che lo storico dell’arte Vincenzo Abbate definisce una “grandiosa Croce col Cristo Crocifisso e la Vergine e San Giovanni dolenti… in una complicatissima struttura che per ingegno e ricchezza d’intaglio e a dir poco eccezionale”.
Ed in effetti siamo di fronte ad un unicum, di grande suggestione, che per complessità, magnificenza e dislocazione della macchina liturgico-devozionale non trova riscontro in alcuna altra croce dipinta di ambito nazionale.
Usura del tempo e rinnovamenti liturgici hanno portato alla perdita, alla dismissione o al cambio di ubicazione di varie croci sospese nelle navate delle chiese siciliane. Nessuna di esse, tuttavia, è accostabile alla croce di Collesano che, essendo praticamente inamovibile, pena la perdita, riesce a superare indenne pure i rinnovamenti liturgici post-tridentini.
Nell’apparato di Collesano si possono individuare tre momenti, con interventi di diversi artefici: la struttura lignea, dovuta ad ignoto intagliatore della metà del Cinquecento, il Crocifisso in mistura di coevo autore ignoto e la parte dipinta, datata 1555 e firmata da Sillaro.
Per la struttura lignea, Gioacchino Di Marzo avanza il nome di Vincenzo Pernaci (Vernaci), scultore attivo almeno fino al 1569. Il Di Marzo perviene a questa ipotesi sulla scorta della descrizione di un’opera, perduta, analoga a quella di Collesano, che Vincenzo Pernaci si impegna a realizzare per la chiesa di Sant’Antonio di Prizzi nel 1539 e, riferendosi alla croce di Collesano, così scrive: “non è quindi improbabile ch’essa sia pure opera del medesimo artista”.
Una convincente lettura critica dell’apparato ligneo collesanese è dovuta a Giulia Davì che nella nostra opera coglie “i moduli del gotico fiammeggiante sia nella lussureggiante e ridondante decorazione a foglie di cardo e pigne della Croce… sia nel macchinoso congegno che la sorregge, costituito da una doppia spirale dipartentesi da due mascheroni e culminanti…” Nei testimoni della crocifissione: la vergine e San Giovanni Evangelista. Le due grandi mensole di base che sorreggono l’apparato denotano un esile aggiornamento in senso rinascimentale nei richiami decorativi di motivi a girali e a rosette. Le arpie, che sostengono il tutto, costituiscono invece un esempio di rielaborazione concettuale per figure della mitologia greca immaginate come donne alate o come mostri con volto, busto e braccia di donna ed il resto di uccello. Esse compaiono, con figurazioni simili, anche in araldica.
Altri critici nella decorazione della “macchina lignea”, hanno visto chiare tangenze con la carpenteria del Polittico della Matrice Vecchia di Castelbuono (V. Abbate), nel quale le foglie di cardo, spinose, dei capicroce gigliati richiamano pure la Passione di Cristo, così come avviene nei “calici madoniti”, contenitori del Sangue di Cristo, decorati nel sottocoppa con foglie dello stesso tipo per alludere al sacrificio divino.
La critica è d’accordo nell’individuare nell’opera di collesano derivazioni dalla scultura lignea e dall’oreficeria nordica e continentale italiana.
Nettamente diverso da quello dell’apparato ligneo appare il linguaggio, più moderno, del Crocifisso in mistura, cioè fatto con un impasto di gesso, polvere di marmo, sabbia e calce in proporzioni diverse, opportunamente amalgamati con acqua.
Scrive ancora G. Davì: “esso presenta, infatti, rispetto alle più statiche parti lignee una maggiore scioltezza ed una compostezza formale bn lontana dai toni tragici e fortemente drammatici della scultura tardogotica”.  Il Crocifisso mostra elementi più aperti e aggiornati di quelli della Vergine e San Giovanni del nostro apparato che presentano, invece, una stretta affinità con la statua lignea dell’Assunta di Santa Maria la Vecchia.
La valenza scenografica della nostra opera è colta da Maria Concetta Di Natale che così scrive: “la complessa e maestosa macchina lignea di Collesano, sorretta da una trabeazione, è posta su una base curvilinea serpentina con due figure mostruose con elementi conclusivi fitomorfi di tralci acantiformi che reggono fiori dal cui nodo si dipartono due elementi a mò di torcia su cui poggiano le sculture della Madonna e di San Giovanni e al centro il Crocifisso inserito in una croce…”.
Anche il Crocifisso in mistura è di autore ignoto. Rosario Gallo scrive di unicità di autore per lo stesso e per quello della Chiesa di San Giacomo di Collesano, che oggi, possiamo datare a prima della 1543.
È invece noto, almeno nel nome, per averla datata e firmata, l’autore della parte dipinta del verso della Croce con La Resurrezione, Profeti e Dottori della Chiesa: SILLARO ME PI(N)SIT 1555.
Il dipinto tempera su tavola propone Cristo Risorto, in piedi, nell’atto di uscire dalla tomba, contornato da sette medaglioni con figure di profeti e dottori della chiesa. Dalla lettura dei nastri che accompagnano tre dei quattro profeti, riportanti ognuno il proprio nome ed un versetto biblico che si riferisce a ciascuno di essi, lo storico locale Giuseppe Tamburello perviene alla loro identificazione. Il nastro relativo al profeta David, che è collocato sopra la figura di Cristo, riporta la scritta Exurge gloria mea (David, 36, 85), quello relativo a Geremia riferisce Quasi de summo suscitatus sum (Geremia, 31, 26) mentre l’altro, riguardante Isaia, ricorda che Ego suscitavi eum ad iustitiam. Questi ultimi due profeti sono collocati nell’asse orizzontale della Croce. Si tratta di coloro che hanno profetizzato la Resurrezione di Cristo. L’ultimo profeta, che secondo G. Tamburello dovrebbe essere Daniele, (ma potrebbe trattarsi di Salomone), è collocato all’estremità del capocroce gigliato. Lo storico collesanese così continuo la lettura dell’opera: nel medaglione più alto dell’asse verticale San Gregorio Magno Pontefice, nel capocroce dell’asse orizzontale Sant’Ambrogio vescovo è in quello più basso della croce Sant’Agostino vescovo “secondo le indicazioni dell’ufficiatura delle ferie Pasquali”.
Questa conclusione concordata con quanto coglie Teresa Pugliatti che scrive: “il Sillaro sul verso, raffigura un Cristo risorto come si usava nelle croci a due facce, delle quali quella posteriore veniva esposta in occasioni della Pasqua”.
Al di là della problematicità dell’esposizione per un dipinto con tale ubicazione, il messaggio fondamentale dell’opera è chiaro: alla Crocifissione, sacrificio di Cristo per la salvezza dell’umanità, esposta ad ovest, versante del buio e del tramonto, si contrappone, esposta ad Est, lato dell’altare, della luce e della via, la Resurrezione, il momento più alto del messaggio cristiano.
L’importanza della nostra opera non sfugge a Rosario Gallo che occupandosene per primo nel 1736, così scrive: “Accresce la magnificenza di questo tempio la sontuosa macchina di due mezzi architravi, che sostengono con rabbischi di fogliacci di scultura di legname, tutte ad oro, un’antica Immagine d’un SS.mo Crocefisso al naturale, con di lato la Vergine SS.ma e San Giovanni, situata nel mezzo della nave, sopra l’altezza dei capitelli delle colonne, di grandissima divozione del popolo, chiamato il SS.mo Crocefisso della providenza, innanzi al quale, notte e giorno dalli divoti si tiene accesa una lampada e nel giovedì Santo la sera si adorna tutta questa macchina con molti cerei accesi per tutto il tempo della predica della sua SS.ma Passione. Fù alzata e fatta questa macchina nell’anno 1555 come appare delineato nella parte di dietro sotto la pittura del Cristo Resuscitato”.
Siamo di fronte ad un’opera eccezionale che, da sola, giustifica una visita a Collesano.
Testo tratto dalla monografia di
Rosario Termotto, “Collesano. Guida alla Chiesa Madre Basilica di S. Pietro”, 2010, pp. 53, 54, 56, 57, 60.
Bibliografia: Gallo, ms. 1736, ff. 328-329 | Di Marzo, 1880-1883 | Tamburllo, 1908, p. 13-15 | Barricelli, 1981, p. 33 | Abbate, 1977, p. 67 | Davì, 1989, pp. 63-67 | Di Natale, 1992, pp. 102-106; 150-152 | Termotto, 1999, pp. 350-352 | Pugliatti, 1998, p. 241 | Termotto, 2000-2002, p. 222
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