BASILICA DI COLLESANO | UN REPERTORIO ANTOLOGICO DI FORME
Tabernacolo marmoreo
Autore: Ignoti scultori della fine del XV secolo pittore della prima metà del XVI secolo
Datazione: 1489
Provenienza: Chiesa di Santa Maria Assunta (S. Maria la Vecchia)
Il quattrocentesco tabernacolo marmoreo ha più ordini, oggi nella navata destra, proviene dalla cappella del Sacramento nella chiesa di Santa Maria la Vecchia, dove è rimasto fino al 1926 quando, in seguito a visita ispettiva, E. Brunelli ne dispose il trasferimento nella chiesa madre di San Pietro, probabilmente perché l’antica dimora non dà più sufficienti garanzie statiche.
Il tema narrativo della scultura fortemente unitario, sviluppa la presenza di Cristo dalla Natività al Mistero Eucaristico. L’icona marmorea, in alto, presenta il Padre Eterno in trono, nella sottostante lunetta la Natività tra l’angelo Gabriele e l’Annunziata, scolpiti nei candelabri laterali, poi la Crocifissione tra Pietro e Paolo, nell’ordine inferiore la custodia del Sacramento con la colomba dello Spirito Santo tra angeli adoranti, incassata tra i quattro evangelisti e due coppie di dottori della chiesa e, nella predella in basso, Cristo tra gli Apostoli, la chiesa militante. La Parola, incarnatasi in Cristo, discende tra gli uomini con l’Eucarestia e si perpetua con la missione della Chiesa.
Nel piedistallo oltre allo stemma gentilizio dei Sunzeri (Sinceri), appare incisa la data del 1489, mentre una lunga iscrizione ricorda il sac. Francesco de Sunzerio, vicario di Collesano, che tramite un legato finanzia l’esecuzione dell’opera.
Il benemerito storico dell’arte Gioacchino Di Marzo, che sui Gagini Ha scritto pagine fondamentali, attribuisce decisamente l’opera a Domenico, oltre che per ragioni cronologiche, sulla scorta di elementi stilistici.
Una approfondita analisi dell’icona collesanese è dovuta a Maria Accascina che ha visto in essa: “Un repertorio antologico di forme lombardo - toscano - venete un esempio tipico dell’eclettismo manieristico che si forma in Sicilia… ma il più pressante nome sarebbe quello di Domenico Gagini che nella sua educazione ebbe il concorso di tante correnti diverse”. Secondo la studiosa, la presenza di Domenico è più leggibile in quelle parti della Crocifissione che richiamano, con le figurine ammantate e i bimbi paffuti, analoghi stilemi presenti, a Napoli, nell’arco di Alfonzo d’Aragona. Ancora a Domenico riconducono “gli angioletti dai capelli soffici e intrisi di luce”.
Ma la complessità dell’icona collesanese, che con i suoi 5 metri di sviluppo è una delle più monumentali di Sicilia e che sarebbe poi diventata il prototipo per quelle successive di Isnello, Castelbuono, Nicosia e Caccamo, fa ritenere all’Accascina, probabilmente a ragione, che per la sua esecuzione siano intervenuti anche altri scultori. Nella stessa Crocifissione vengono infatti notate “figurette identiche a quelle che Andrea Mancino e Giovannello Gagini scolpivano… nella chiesa di Santa Caterina di Mistretta”, Mentre la mano di Giorgio da Milano, artista ripetutamente presente nell’hinterland madonnita e a volte collaboratore di Domenico, appare in tutta la composizione della parte alta del tabernacolo collesanese. Un’opera di equipe è un’evenienza abbastanza frequente sul calare del ‘400 quando la bottega del maestro fa perno sul caposcuola che si circonda di un nutrito numero di aiuti per far fronte alle numerose committenze.
La presenza di mani diverse nel tabernacolo giustifica gli scarti di qualità tra la custodia vera e propria e il resto dell’opera. La studiosa sopra citata vede affiorare nelle parti più riuscite dell’opera “una acuta nostalgia del più fiorito gotico-lombardo… mentre nei particolari vibrano ricordi fiorentini… nel fondo a scaglie che frantuma la luce, nelle testine dei cherubini che sorreggono tralci e graffie, nell’edicola con angeli sotto il baldacchino”. Saremmo di fronte a un’opera a più mani per il cui disegno Maria Accascina avanza i nomi di Domenico Gagini o Giorgio da Milano. Ma, quasi a confermare le difficoltà di un’attribuzione univoca è la complessità del problema, si affaccia una più recente ipotesi del tedesco H. W. Kruft che assegna l’opera a scultore lombardo indipendente da Domenico Gagini, mentre su quest’ultimo ritorna W. Krönig nel suo fondamentale repertorio sull’arte in Sicilia.
Testo tratto dalla monografia di
Rosario Termotto, “Collesano. Guida alla Chiesa Madre Basilica di S. Pietro”, 2010, pp. 131, 132
Bibliografia: Gallo ms. 1736, ff. 308-309 | Di Marzo, 1880-1883, pp. 170-171 | La mia parrocchia, ms. 1952-1953, f. 8 | Accascina, 1959, pp. 288-292 | Kruft, 1972 | Krönig, 1988, p. 418 | Termotto, 1992, pp. 86-88
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