Presbiterio - Cappellone centrale - Unità di Pastorale Sinodale

Vai ai contenuti
BASILICA DI COLLESANO | CAPPELLONE CENTRALE
Il Presbiterio
Alla rimodulazione dello spazio presbiterale avvenuta tra il 1614 ed il 1618, segue una intensa campagna decorativa con affreschi e stucchi tendenti, anche mediante forme plastiche emergenti, a rendere più dinamico il severo e nudo spazio medievale. Le decorazioni in stucco delle pareti del presbiterio e della volta svolgono il tema della Glorificazione dell’Eterno Padre che, imposizione focale, contornato da angeli musicanti, domina l’intero spazio sacro. All'ingresso del presbiterio, nei due pilastri dell’arco trionfale, si ergono maestose le statue degli apostoli Pietro e Paolo con i loro tradizionali attributi iconografici. Seguono l’Arcangelo Gabriele e l’Annunziata, mentre nella parete frontale svettano San Michele Arcangelo che schiaccia il demonio e l’Angelo Custode, ed infine, alla sommità dell’arco trionfale, due angeli sorreggono uno scudo.
Le decorazioni in stucco propongono il linguaggio della maniera ed anticipano l’opera della cattedrale di Cefalù eseguita un trentennio dopo da Scipione Li Volsi.
A Collesano siamo di fronte ad un chiaro esempio di decorazione che si inserisce ad accompagnare le trasformazioni architettoniche nella ricerca di nuovi effetti prospettico spaziali, tendenti a dilatare illusionisticamente lo spazio.
Sul complesso plastico-decorativo collesanese non sono stati ancora effettuati ritrovamenti documentari, ma esso è facilmente attribuibile alla bottega del tusano Giuseppe Li Volsi per stile e linguaggio. Inoltre Giuseppe e la sua bottega, in quegli anni, sono documentati attivi nella cappella del Sacramento della cattedrale di Cefalù (opera perduta) e nel 1619 nell'adiacente cappella del Sacramento della chiesa madre di Collesano.
È molto probabile che nelle opere collesanesi Giuseppe venga coadiuvato dai figli Scipione, Francesco e Paolo che, assieme al più piccolo Martino e poi al nipote Giuseppe, costituiscono una bottega di notevole rilevanza nel panorama artistico del ‘500 e del ‘600 siciliano. Attiva non solo nel campo dello stucco, ma anche in quello della scultura e della decorazione lignea, dell’apparato effimero, della pittura e della fusione in bronzo, la bottega opera in una vastissima area che va dai Nebrodi alle Madonie, dall'interno della Sicilia al palermitano e al corleonese. I Li Volsi costituiscono un tramite significativo tra la grande stagione gagginiana e la strabiliante esperienza serpottesca.
Realizzati gli stucchi, già il 1° ottobre del 1618 i rettori della chiesa madre di Collesano pensano alla decorazione pittorica del presbiterio stipulando un contratto con il pittore ed architetto termitano Vincenzo La Barbera cui chiedono l’esecuzione di un preciso programma iconografico, secondo un disegno predisposto. Ma il pittore, probabilmente oberato da altre commesse, dopo aver percepito dalla chiesa collesanese i notevoli anticipi previsti, neanche comincia la decorazione pittorica del presbiterio ed i rettori della chiesa chiedono ed ottengono la sua carcerazione nel castello di Termini alla quale si mette fine dietro debita fideiussione, promessa di restituzione delle somme percepite e spese legali a carico.
Conclusa la vicenda con Vincenzo La Barbera, i responsabili della chiesa madre di Collesano si rivolgono al più importante e costoso pittore allora operante a Palermo: Gaspare Bazzano (Vazzano) detto Lo Zoppo di Gangi col quale viene concluso il contratto in data 30 aprile 1621.
Lasciata, già molto giovane, la natia Gangi, Gaspare Bazzano si trasferisce a Palermo dove viene messo a garzone presso la bottega di Giuseppe Alvino, detto il Sozzo, figura dominante la scena artistica palermitana nella seconda metà del Cinquecento. Valorizzando il precoce talento del giovane, Giuseppe Alvino lo coinvolge, intorno al 1580, negli affreschi del Palazzo Reale, cantiere nel quale Gaspare lavorerà successivamente in maniera autonoma.
Divenuto cittadino palermitano per matrimonio Gaspare Bazzano è presente nella capitale nei più importanti Cantieri del periodo (Palazzo Reale, Palazzo Pretorio) per committenti pubblici d’eccezione come il viceré ed il Senato palermitano e nelle più prestigiose chiese monasteriali e conventuali (San Martino delle Scale, San Domenico), oltre che sul versante trapanese. Quando nel 1623, quasi sessantenne, esegue gli affreschi di Collesano, il pittore è all'apice della carriera. Il ciclo di affreschi del presbiterio della chiesa madre di Collesano, perfettamente integrato nell'apparato decorativo in stucco, racconta Le storie di Pietro e Paolo. I quadroni laterali, impaginati a modo di arazzi di chiaro riferimento raffaellesco, rappresentano, a sinistra, La chiamata di Pietro e la sua Crocifissione, a destra illustrano La conversione di Paolo, folgorato sulla via di Damasco, e la sua Decapitazione, ambientata in uno scenario seicentesco di gusto classicheggiante. Al centro della volta, tra motivi geometrici e figure a monocromo che rappresentano La Prudenza, La Temperanza, La Fortezza e La Giustizia, in una grande ellissi campeggia L’Ascensione, mentre al di sotto è presente La Resurrezione e nella parte superiore La Trinità. Sempre nella volta troviamo le Storie della vita di Cristo: a sinistra La Natività, L’Adorazione dei Magi, La Circoncisione, ed a destra il Battesimo di Giovanni Battista, il Convito di Betanìa, La Tentazione nel deserto. Nella parete frontale, a destra, sono invece proposti Pietro e Sulla in carcere e La Consegna delle chiavi a sinistra, mentre nella parte più alta troviamo Gesù fra i dottori e La cacciata dei mercanti dal Tempio.
Accanto alle Storie, una lunga teoria di medaglioni con Sante vergini e monache raffigurano: Caterina d’Alessandria, Chiara, Lucia, Caterina da Siena, Margherita, Petronilla, Prassede, Agnese, Ninfa, Cecilia.
Nel sott’arco d’ingresso, da un lato sono raffigurati Santo Stefano protomartire che reca i segni della lapidazione subita nelle pietre che lo colpiscono alla testa, San Basilio Magno e Sant’Anastasio vescovo, dall’altro San Lorenzo con la graticola, strumento del suo martirio, su cui viene bruciato vivo, San Gregorio Nazanzieno, San Giovanni Crisostomo: due martiri delle origini e quattro dottori della chiesa greca, quasi a richiamare il legame di Collesano con il rito greco-bizantino che fino all'inizio del Trecento veniva seguito dai monaci basiliani nell'antica chiesa dell’abbazia di Santa Maria de Pratali grecorum, ubicata sin da epoca normanna nelle campagne in contrada Pedale.
Altri medaglioni propongono San Gioacchino e gli evangelisti Matteo e Giovanni e quindi Sant’Anna con gli altri due evangelisti Luca e Marco.
Alle spalle del soglio arcipretale si legge la scritta che sottolinea il ruolo di ispiratore di tutto il programma iconografico, ed è il messaggio adesso sotteso, ricoperto da don Paolo Brocato, colto ed illuminato sacerdote che, morendo, lascerà erede universale dei suoi beni personali la chiesa di Santa Maria la Vecchia. Dalla stessa scritta risulta evidente anche il coinvolgimento corale dei fedeli collesanesi che partecipano con proprie offerte alle ingenti spese necessarie non solo per gli affreschi, ma anche alla profonda trasformazione della chiesa: “Populi collisanensis elemosinis, Paulus Brocato sacerdos, magno labore et sollecitudine curavit, anno domini 1624 Gaspar Vazzano, vulgo dicto “lu Zoppu di Ganci p.”.
I quadroni principali proponenti la testimonianza di Pietro, cui è dedicata la chiesa, e quella di Paolo, sono accompagnati da versetti dettati dal sacerdote Giuseppe D’Agati. Già lo storico locale G. Tamburello, nel cogliere la complessità del lavoro e del messaggio, lo scandisce in quattro momenti solenni: Iddio Padre, la Glorificazione di Gesù, il Martirio degli Apostoli, il Trionfo delle cose del cielo e della terra con una pleiade di angeli e di santi che vi fanno corona.
Una chiara, approfondita è convincente analisi stilistica degli affreschi e quella fatta da Teresa Viscuso che nell’opera del Bazzano coglie un “tono fiabesco”, “un tono lento e solenne nel modo in cui le figure si collocano nell’ampio e vivace paesaggio” un “naturalismo trasognato” e quella maniera “tenera, dolce e pastosa” che sono la sua cifra più caratteristica. Così la studiosa citata si esprime: “… a Collesano nelle storie di San Pietro e di San Paolo c’è una impaginazione che sembra trovare il suo filo conduttore nella tradizione dei raffaelleschi… giunta probabilmente attraverso incisioni e stampe, se non addirittura fornita dal sacerdote committente”. I legami rinvenuti sono vari. Così ad esempio nella chiamata di Pietro “il preciso suggerimento iconografico risale al Barocci come fa spia la figura sdraiata sul bordo della barca che ha un precedente nella vocazione dei santi Andrea e Pietro… al Museo delle Belle Arti di Bruxelles…”. Nella Conversione di Paolo, invece, oltre al ritmo dei contrappunti, la studiosa rinviene i tratti di quel “dinamismo fulminante” tipico del senese Marco Pino dal quale viene ripreso il cimitero rovesciato di Paolo che cade da cavallo. Nelle storie c’è anche il raccordo con tutto un filone pittorico inserito nell'orbita del manierismo internazionale, appreso da conoscenze dirette o declinato attraverso mediazioni o stampe. Si spazia dal manierismo tosco-romano a quello di pittori fiamminghi attivi nell'Italia meridionale e nell'isola.
Gli affreschi di Collesano costituiscono la summa dell’esperienza artistica di Gaspare Bazzano che, proprio a Collesano, realizzerà le ultime sue opere come la Madonna del Rosario e santi della chiesa di San Domenico (Rosario), commissionatagli nel novembre del 1623.
Rientrato a Palermo malato, il pittore muore prima dell’otto luglio del 1624, probabilmente vittima dell’ondata di peste che affligge sia Palermo che Collesano.
Il recente ritrovamento dell’atto d’obbligo per l’esecuzione degli affreschi, dovuto a Giovanni Mendola, consente ulteriori precisazioni sull'opera: essa costa la notevole somma di 100 onze, il maestro è collaborato da tre aiuti, quasi certamente Simone Lo Guasto da Racalmuto, Giacomo de Arena e Francesco Costantino, tutti e tre presenti come testi al testamento di Gaspare del 3 maggio 1624.
La presenza degli aiuti nel cantiere di Collesano giustifica la caduta di qualità in alcune parti secondarie del ciclo, come la Consegna delle Chiavi, mentre le parti principali sono, per contratto, di mano del maestro.
Le storie di Pietro e Paolo, uno dei cicli di affreschi del primo Seicento meglio conservati, costituiscono un testo importante per la documentazione della pittura tardo-manierista in Sicilia.
A precisare i limiti della cultura pittorica dello Zoppo di Gangi, però, va sottolineato che, ancora nel pieno degli anni ‘20, la sua pittura è sorda agli aggiornamenti naturalistici, che andavano affiorando pure a Palermo, e alla lezione realistico-luministica del Caravaggio, approdato in Sicilia nel 1608-1609.
Anche lo Zoppo è prigioniero dell’ultimo manierismo isolano che  - come scrive Vincenzo Abbate  - “avrebbe continuato a resistere indisturbato fino agli anni 30 nelle zone interne dell’isola , proprio per le sue proposte di una pittura ad alto contenuto religioso , meno intellettuale ed… aperta ad un pubblico della più svariata estrazione sociale”.
Proprio questa doveva essere la principale esigenza del committente don Paolo Brocato: proporre una Bibbia dei poveri, cioè dare ai fedeli, quasi tutti analfabeti, facilità di accesso a un messaggio chiaro, semplice, coinvolgente, tendente alla persuasione attraverso la testimonianza figurativa del martirio. Siamo in perfetta linea con i dettami della controriforma che dispiega una massiccia campagna di comunicazione di massa, esaltando la funzione di propaganda delle immagini.
Ultimati gli affreschi, nel presbiterio viene spostato l’antico coro in noce, eseguito a partire dal 1570 da Andrea Russo e dalla sua bottega.
Gli affreschi sono stati restaurati nel 1870, poi nel 1907 dal termitano Michele Ciofalo coadiuvato dagli adornisti Cosimo e Vincenzo Cannata e quindi nel 1981 dal Calvagna, per conto della Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici di Palermo, con l’eliminazione delle diffuse ridipinture, degli annerimenti della volta e delle lesioni con sollevamento di intonaco.
Il complesso tema iconografico è completato da una tela, posta sopra il precedente altare, con l’Assunzione di Maria, quasi a rievocare un legame di continuità con la vecchia matrice dedicata all'Assunta, opera dello stesso Gaspare Balzano, andata poi perduta per i danni di una bruciatura.
L’attuale tela, nello stesso soggetto è collocata nello stesso sito virgola e opera dei primi dell’Ottocento. Da una iscrizione in essa contenuta si evince che il dipinto viene fatto a spese del vicario foraneo sacerdote Leonardo Brigaglia.
Una recente ricerca dei documenti custoditi nell'Archivio Storico Parrocchiale di Collesano ci consegna il nome della stessa tela: il pittore napoletano Francesco Ricciardolo che coi conti dell’anno 1814  - 1815 riceve 2 onze per “rigalo fatto di sopra più per il quadro pittato nel coro di detta Matrice per ordine del Vicario, opera che non può essere diversa dalla nostra tela.

Testo tratto dalla monografia di
Rosario Termotto, “Collesano. Guida alla Chiesa Madre Basilica di S. Pietro”, 2010, pp. 25, 26, 29, 31, 33, 35.
Bibliografia per gli stucchi: Viscuso, 1984, p. 149 | Termotto, 1992, pp. 44, 45 | Termotto, 1997, p. 104 | Pettineo - Ragonese, 2007, p. 190
Bibliografia per gli affreschi: Gallo, ms. 1736 | Tamburello, 1908, passim | Viscuso, 1975, passim | Viscuso, 1984, pp. 145, 150 | Guastella, 1985, passim | Abbate, 1985, p. 68 | Termotto, 1992, pp. 45, 53 | Sola, 1997, pp. 186, 187 | Mendola, 1999, pp. 57, 58 | Termotto, 1998-2000, pp. 240, 246
Scopri le altre opere
Copyright 2024 ups-cospi.it | Website created by Salvo Ilardo
Unità di Pastorale Sinodale
Collesano | Scillato | Piano Zucchi
E-mail: cospi.ups@gmail.com
SEGUICI SU
Torna ai contenuti